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Boston, USA

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linea di fuga verso il mare

venerdì 28 marzo 2008

Bio-informazione: nuove linee per una scienza nuova


di Antonia Colamonico

(traduzione parziale di: Edgar Morin and Biohistory: the story of a paternity. In World Futures: The Jounal of General Evolution, a cura di A Montuori. Vol. 61 - n° 6, pp. 441-469, part of the Taylor & Francis Group - Routledge, August 2005.)

Nel prologo a L’Universo Sapiente il fisico G. L. Schroeder (2002), interrogandosi sulle origini dell’organizzazione della vita, dice: - Ogni particella, ogni essere, dall’atomo all’essere umano, sembra contenere al suo interno un livello di informazione, di intelligenza consapevole… l’idea che all’origine dell’esistenza vi possa essere un elemento non fisico come l’informazione o l’intelligenza non sminuisce in alcun modo gli aspetti fisici delle nostre vite.

L’informazione sembra, alle soglie del terzo millennio, avvolgere l’umanità, come alghe profonde e stratificate in un oceano, da cui l’uomo, nella sua piccolezza infinitesimale, sembra non riuscire a venirne a capo. Essa, oltre ad aver invaso l’economia, la politica, la vita quotidiana, le strade, gli scaffali dei supermercati, i telefonini degli studenti; inizia la sua scalata alla materia, al pensiero, alla stessa costruzione profonda della vita (Lwoff, 1974).

L’informazione da semplice dato che mostra all’occhio osservatore la presenza di un quid, si sta trasformando essa stessa in organizzazione di realtà, poiché a tutti i livelli esplorativi si coglie la presenza di un filo-codice che entra nelle maglie organizzative delle differenti identità storiche. La scoperta di una complessità informativa a più livelli soggiacenti di spazi-tempi, sta di fatto rivelando la molteplicità del reale, con la messa in discussione delle certezze, elaborate nel corso degli ultimi cinquecento anni dalla Cultura Occidentale e non solo.

Volendo provare, con un processo neghentropico, a risalire tale groviglio di flussi semantici e organizzativi, per cercare di comprenderne l’ampiezza storica del fenomeno informazione, si poterebbe partire dalla constatazione di una profonda crisi nel rapporto osservato-osservatore che sta portando ad un ribaltamento nelle logiche di lettura dei processi (Morin, 1993). Ribaltamento dovuto allo sconfinamento, come un’interferenza-rumore, tra chi guarda e chi è guardato; tra chi legge e chi è letto. Per comprendere meglio il salto di paradigma in atto, bisogna precisare che la scoperta della complessità informativa va posta in relazione a quattro campi di riflessione.

1. Il dinamismo della vita, non può essere imbrigliato in una carta di lettura

Le carte-mappe sono solo dei modelli interpretativi che servono a facilitare l’esplorazione del territorio, ma non sono il territorio. Esse sono relative alla sfera topologica, il territorio alla dinamica vitale. La cartina di una città non contiene la vitalità della città, per cui la si può definire solo una riduzione in scala semplificata, funzionale all’azione di conoscenza e d’esplorazione (Rosenstehl, 1981). Ma, se le carte sono solo modelli di lettura della realtà e i modelli costituiscono la medesima conoscenza, provando ad ideare carte nuove, automaticamente si cambierà la visualizzazione sulla medesima realtà: effetto caleidoscopio (Colamonico, 2002).

Tale mobilità di lettura si comprende meglio se essa è posta in rapporto alle scale di osservazione e alle stesse dimensioni di lettura.

Per cogliere l’influenza delle dimensioni, nella stessa osservazione, si ripensi ad esempio al problema della mano di marmo di E. Kant, in cui Il filosofo, a fine settecento, si chiedeva se, essendovi nell’universo solo ed esclusivamente una mano di marmo, sarebbe stato possibile affermare a priori se essa era una destra o una sinistra. La difficoltà a dare una soluzione per Kant era legata al fatto che le mani, destra e sinistra, sono tra di loro speculari (uguali ed opposte allo stesso tempo) e l’uomo impara a riconoscerle mediante confronto. Ma nell’ipotesi in cui la mano fosse stata l’unico oggetto dell’universo, con cosa la si sarebbe potuta confrontare?

La soluzione a tale enigma fu data dai matematici dell’epoca nei seguenti termini: due oggetti speculari appartenenti a uno spazio n-dimensionale (nel nostro caso n = 3), rivisti in uno spazio di dimensione superiore (n + 1 ad esempio) possono essere trasformati l’uno nell’altro, mediante una rotazione nella nuova dimensione. Si pensi, ad esempio, alle pagine di un libro (oggetti bidimensionali) in cui i numeri sono scritti in basso a sinistra per la pagina sinistra; a destra per quella destra; anche la disposizione del testo è speculare tra le due pagine, rispetto alla rilegature del libro. Ma basterà sfogliare (rotazione intorno alla terza dimensione) il libro per far sovrapporre i margini delle pagine destre con quelli delle pagine sinistre. Allo stesso modo ruotando la mano di marmo nella quarta dimensione, essa diventerebbe, indistintamente, destra e sinistra, a nostro piacimento (Banchoff, 1993).

2. L’inadeguatezza della scienza, mostra/nasconde parti del tutto

Essendo la scienza stessa carta di un territorio, essa apre ad alcune visualizzazioni di realtà e chiude ad altre (Maturana,1993), in quanto il processo di lettura si pone come la capacità di rendere isola parti di un tutto, che poi diventeranno l’oggetto di studio.

L’isolare gli osservati, fa sì che vengano scissi i legami che rendono rete-tutto la realtà; per cui si può affermare, con un occhio biostorico, che la realtà è un insieme di letti-non letti, di esperiti-non esperiti. La conoscenza si pone in confronto ad essa, quale gioco di luce/ombra che per mostrare parti di realtà ne nasconde, automaticamente, altre; le parti tuttavia restano tra di loro in rapporto (rete tutto), indipendentemente dall’occhio osservatore, ed è il loro essere in rete, che mette in crisi le letture, ponendo le alee quali non attesi o non previsti, che possono inficiare la lettura stessa.

Il campo isolato a sua volta si pone in relazione al fuoco di lettura; allo sguardolente con cui l’io osservatore va ad espletare l’azione di costruzione delle mappe di realtà; ai codici-linguaggi-grammatiche elaborati.

Nell’Albero della Conoscenza di Maturana e Varela (1992) è posta la differenza tra una mappa e una rete. La mappa è relativa ad una lettura di dinamica e si pone come un occhio esterno che osserva e trascrive i movimenti; mentre la rete è la dinamica stessa, come l’insieme dei nodi comunicativi, interni al processo vitale, con cui un reale si organizza nel tempo-spazio. Scaturisce da ciò che la lettura è semplicemente una ricostruzione di un movimento organizzativo che, per essere letto, deve essere fermato (fotogramma).

3. L’occhio di lettura condiziona le medesime rilevazioni esperite

La realtà esperita subisce una deformazione in funzione, ad esempio, della convergenza degli occhi o del punto cieco di lettura dell’osservatore. Ad esempio l’occhio-mente uomo visualizza una realtà differente dall’occhio-mente mosca o gatto (Hubel, 1989). Lo stesso spazio acquisisce le dimensioni di chi l’osserva: a tre è dell’uomo, a due è della rana. Ma cosa sia la stessa realtà nella sua essenza è da ridefinire, in quanto la vecchia visione definita oggettiva e assoluta, era il frutto di una separazione tra l’osservato-osservatore-osservazione che di fatto si pongono in relazione, come: il piano lettore (colui che legge), quello del letto (colui che è letto) e infine quello di lettura (ciò che viene letto, come insieme di informazioni di significato).

Bateson (1977) legge la realtà, con un occhio eco-sistemico, quale frutto di una negoziazione (= azione di negozio-mercatura), o meglio di un processo di eco-inter-azione quale dinamica di percezione-visione-elaborazione-ambiente-manipolazione. La realtà, per lui, è nella stessa dinamica e non più negli oggetti/soggetti che stanno di fronte, si spiega così il valore che la stessa informazione inizia ad assume nella costruzione del reale, in quanto essa stessa è la realtà.

4. L’organizzazione vitale è informazione (= azione che in-forma = rende forma)

La vita in una dimensione eco-biostorica (Colamonico, 1998), è un processo di perturbazione tra un io-campo, inteso come il legame individuo-organismo/nicchia-sacca che lo contiene. L’individuo vivendo perturba il campo e questo risponde alle perturbazioni, perturbando a sua volta l’individuo. La vita è in tale gioco di movimenti informativi che nel loro porsi, generano gradi di ordini/disordini, come una apertura/chiusura degli spazi-tempi per effetto dei quanti storici.

I quanti, perturbando, creano come effetto di ricaduta nell’io-campo una disorganizzazione, quale apertura o rottura dell’ordine, questa a sua volta necessita di una rilettura e riorganizzazione, quale chiusura in sé e avvio di un processo di rilettura che riesca a riequilibrare con un nuovo grado di ordine.

Il disordine è il grado d’entropia, come perdita di organizzazione, di identità, di stabilità dell’organismo-campo. L’ordine è il grado di sintropia, quale acquisto di un nuovo grado organizzativo che conserverà in sé la traccia-eco del mutamento. La vita è in rapporto alla capacità di saper rispondere alle perturbazioni dei quanti, per cui nel processo entropico/sintropico entra un fattore d’apprendimento quale processo neghentropico: la capacità a saper interpretare e valutare il segno informativo e a saper rispondere alla crisi di identità del sistema, rielaborando una risposta idonea. L’incapacità a rispondere mette in crisi il sistema e potrebbe generare la morte dello stesso, mentre la capacità ad elaborare una risposta apre al nuovo grado di complessità informativa.

ll processo biostorico-vitale si gioca in queste tre fasi di entropia, neghentropia, sintropia che ciclicamente si in-seguono (= seguono insieme), come la luna e il sole, dando vita/morte ai differenti presenti storici (Colamonico, 2002).

Le perturbazioni provocano negli individui/campi la destrutturazione/ristrutturazione come mutamento-permanenza della memoria-informazione di sé. La memoria è il grado di coscienza che permette di misurarsi con i quanti storici; il misurarsi, è la capacità a confrontarsi con la dimensione dell’essere e del divenire. Il confrontarsi implica, a sua volta, un’azione di neghentropia, quale apprendimento del vivere (Morin, 1977).

  • Quali le ricadute sul piano delle conoscenza di una simile organizzazione?

Da Galilei in poi la scienza aveva avuto la pretesa a poter dimostrare, indipendentemente dal legame osservato-osservatore-osservazione, la natura della natura. I sistemi di Cartesio, di Newton, di Laplace, tendevano, ognuno a proprio modo, a risolvere il sogno, appartenuto ad ogni epoca, di scrollarsi di dosso l’incertezza, l’incompiutezza, con la relativa angoscia dell’ignoto, per acquisire l’assolutezza nel dire, nello sperimentare, nel comunicare e nel governare. Il sogno di essere il dio del proprio sapere e della propria storia.

L’opera titanica dei pensatori razionalisti, empiristi e illuministi aveva risolto le ambiguità di un apparire aperto a più sfaccettature, con la costruzione di tante scatole disciplinari allineate in cui, ordinate da leggi e calcoli matematici, ogni ambiguità assumeva la dignità di Scienza con la maiuscola. I fenomeni venivano catalogati, misurati, isolati e racchiusi.

Gli scienziati con zelo dimostravano il movimento disciplinato della vita, mentre si lasciava ai pittori e ai poeti il compito di raccontare quello indisciplinato. Ciò spiega il dualismo tra pensiero scientifico e pensiero umanistico con il relativo primato del primo sul secondo, con l’egemonia delle leggi fisico-matematiche su quelle psichico-emotive, con la supremazia dell’economia della ragione su quella del cuore, dell’economia degli Stati su quella degli Uomini. Ma, come ben sa l’atleta, ogni primato si presta ad essere superato.

Il secolo 1900 se da un lato ha segnato l’apice di tale egemonia, con quella che è definita la rivoluzione tecnologico-industriale, dall’altro indica la pietra d’angolo del ribaltamento e il relativo declino del titanismo scientifico meccanicistico determinista (Morin, 1993).

Per comprendere il nodo di crisi del sistema epistemologico Occidentale, bisogna rileggere il testo di J Gleick: Caos - La nascita di una nuova scienza (1987). Il giornalista fa una incursione ai bordi della ricerca scientifica e mette insieme una serie di teorie che vanno dalla meteorologia, alla geometria; dalla sociologia, alla biologia; dalla fisica alla geologia, sottolineando, ai profani della scienza, la presenza di un universo scientifico minore.

Universo minore, per ridondanza e non certo per valore, che ai margini delle Accademie, indaga sulle evoluzioni organizzative dei sistemi vitali e sui processi non lineari.

Le dinamiche, viste come un unico corpo organico, prendono forma sugli schermi dei computer, visualizzando il disordine come elemento dinamico e generativo della complessità della natura. Per essere più precisi, ai margini della scienza ufficiale si scopre che l’errore, quale fattore aleatorio, è la forza rigeneratrice della natura che apre i sistemi alla sintropia del Caos (= ordine delle diversità).

La scoperta scientifica del disordine, come incertezza o lato oscuro intrinseco all’organizzazione vitale, assume vari nomi: effetto farfalla o dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali; dimensione frattale; turbolenza; attrattore strano con relativo bacino d’attrazione; biforcazione e sdoppiamento delle linee evolutive, finestra di ordine nel caos, esplosione e implosione dei sistemi organizzativi. Tutti nuovi movimenti di correnti concettuali che rimettono in gioco la stessa conoscenza, vista non più come dato acquisito, una volta per sempre, ma come una perenne ri-organizzazione, ri-definizione, ri-appropriazione (Morin, 1977) di un gioco campo-individuo che sembra sfuggire ad ogni tentativo di catalogazione assoluta.

Si passa così da una scienza ad orologi ad una a nuvole (Popper, 1989). Da una lettura a sistemi chiusi a una a sistemi aperti alle alee d’evento (Prigogine, 1993) che rendono sempre nuovi e unici i processi, soggetti alle variazioni di campo. Da un sapere che afferma ad uno che ipotizza linee future di mondi possibili (Popper, 1984), in cui l’uomo entra nel gioco nella dinamica della natura con la sua stessa creatività.

Da tutte queste esplosioni di variabili che allargano il campo scientifico alla alea, la conoscenza, fortemente limitata e vincolata agli occhi-spazi d’osservazione (Einstein, 1988), agli strumenti-scale di lettura (Gleick, 1987)), acquista un nuovo significato. Non è più il campo dell’essere, ma bensì del divenire. Non più il fotogramma fermo in un tempo assoluto, ma un processo cinetico che accompagna la dinamica organizzativa della vita.

La scoperta della complessità, nella sua ricchezza di forme, a partire dagli anni ’60, dimostra il limite del grande castello determinista, con la relativa inadeguatezza a contenere e predire, nella ricchezza delle sue forme, la vita. Il mondo dei poeti e dei pittori acquista, così nuova dignità ad essere, ad esistere. C’è più realtà in un paesaggio di van Gogh che con pennellate veloci sfuoca e quantizza i confini dei luoghi, mostrando le turbolenze dei compi vitali, che nella legge del moto armonico smorzato del pendolo.

Il principio di falsificazione della scienza teorizzato da Popper (1984), può essere concretamente visualizzato dai giochi dei venti di Lorenz o dai salti di scale di lettura della crosta terrestre di Scholz o dalle finestre di ordine generate dal caos di Mey (Gleick, 1987); dalle forme frattali della geometria di Maldelbrot (1984).

All’inadeguatezza della scienza segue, come effetto farfalla, l’inadeguatezza delle politiche, delle economie, delle tecnologie, degli strumenti di lettura, delle mappe concettuali, delle carte topologiche, delle metodologie applicative e delle azioni riequilibranti.

Per comprendere il collassamento di tutto l’universo determinista, bisogna precisare che c’è un rapporto retroattivo positivo di squilibrio tra le indagini topiche, locali, e la visione utopica, generale, che giustifica quelle. Nel processo d’appropriazione da parte dell’io-osservatore della realtà, una variazione, anche minima nelle prime, topiche, automaticamente produce una ristrutturazione di tutta quanta la gnoseologia (utopica) che la contiene (Colamonico, 2002).

Bibliografia:

Banchoff, T. F. Oltre la terza dimensione. Geometria, computer graphics e spazi multimediali. Bologna: Zanichelli, 1993.
Bateson, G. Verso una ecologia della mente. Milano: Adelphi, 1977.
Baudrillard, J. L’illusione della fine o lo sciopero degli eventi. Milano: Anabasi, 1993.
Capra, F. Steindl-Rast, D. L’Universo come dimora. Milano: Feltrinelli, 1993.
Colamonico, A. Biostoria. Verso la formazione di una nuova scienza. Campi, metodi, prospettive. Bari: Il Filo, 1998.
Colamonico, A. Fatto tempo spazio. Premessa per una didattica sistemica della storia. Milano: Oppi, 1993.
Colamonico, A. Ordini complessi. Carte biostoriche di approccio ad una conoscenza dinamica a cinque dimensioni. Bari: Il Filo, 2002.
Colamonico, A. Storia. In Nuova Secondaria. Brescia: La Scuola, sett. 1994, pp.69-71.
Einstein, A. Relatività. Torino: Boringhieri, 1988.
Goleman, D. Ray, M. Kaufman, P. Lo spirito creativo. Milano: BUR, 2001.
Lwoff, A. L’ordine biologico. Torino: Boringhieri,1974.
Mandelbrot, B. Gli oggetti frattali. Forma, caso e dimensioni. Milano: Feltrinelli, 1984.
Maturana, H. Autocoscienza e realtà. Milano: R. Cortina, 1993.
Maturana, H. Varala, F. L’albero della conoscenza. Milano: Garzanti, 1992.
Morin, E. Introduzione al pensiero complesso. Milano: Sperling & Kupfer, 1993.
Morin, E. La conoscenza della conoscenza. Milano: Feltrinelli, 1989.
Morin, E. La Méthode 1. la Nature de la Nature.
Paris : Seuil, 1977.
Morin, E. La Méthode 5. l’humanité de l’humanité. L’identité humaine. Paris : Seuil, 2001.
Hubel, D. H. Occhio, cervello e visione. Bologna: Zanichelli, 1989.
Khun, T. S. La struttura delle Rivoluzioni Scientifiche. Torino: Einaudi, 1978.
Popper, K. R. Società aperta, Universo aperto. Roma; Borla, 1984.
Progogine, I. Le leggi del Caos. Bari: Laterza, 1993.
Prigogine, I. Tra il tempo e l’eternità. Torino: Ed. Bollati Boringhieri, 1989.
Putnam, H. Rappresentazione e realtà. Milano: Garzanti, 1993.
Rosenstiehl, P. Il sapere come reti di modelli. La conoscenza oggi. (Atti del Convegno Internazionale). Modena, 20-23 gennaio, 1981.
Schroeder, G. L. L’Universo Sapiente. Milano: il Saggiatore, 2002.

martedì 18 marzo 2008

Gli stadi della coscienza tra ignoranza, erudizione, scienza e saggezza


di Antonia Colamonico


In queste giornate i mass media mandano, quasi in sordina per evitare polemiche in prossimità delle olimpiadi di Pechino, le immagini dei monaci in rivolta che arrivano dal Tibet.

  • Perché degli uomini di pace fanno così paura ad un regime?

Con una lettura ad occhio biostorico, la risposta va ricercata nella stessa dinamica evolutiva della coscienza che si evolve per gradi differenti di organizzazioni.

Il processo d’appropriazione della realtà da parte dell’uomo come la capacità ad assimilare il mondo per capirlo, per imparare a rispondergli, a elaborarlo… a cambiarlo… parte da uno stato di ignoranza, visto come un buio/vuoto cognitivo. Il buio è il prima della conoscenza, in cui un lampo/quanto informativo crea una rottura nel nulla conoscitivo, si pensi ad un fuoco di artificio nella notte.

Il passaggio dall’ignoranza alla conoscenza, avviene per stadi che si pongono come livelli differenti di comprensione: la nomenclatura come il dare un nome; l’architettura come la logica strutturale; la cognizione, il significato esistenziale dell’uno nell’organizzazione del tutto della vita.

Cercando di esplicitare, ogni livello di conoscenza presuppone un differente modo di essere uomo.

Nel primo caso, la nomenclatura, si può parlare d’erudizione, l’uomo erudito è colui che ha una chiara conoscenza spaziale delle realtà. Egli sa riconoscere le oggettività che ricadono nel suo campo visivo, sa classificarle, sa differenziarle… ma la sua è una conoscenza che si ferma ad un livello marginale, in quanto non entra nella struttura organizzativa di quello che osserva. Nelle fasi della vita, la fase dell’attribuzione dei nomi è del bambino, intorno ai tre anni.

La seconda fase è quella dell’architettura, come l’organizzazione logica del funzionamento della realtà, questa è la fase della scienza. L’uomo scienziato è colui che entra nei processi vitali e ne crea i modelli. È la capacità a porre in relazione l’oggetto osservato nello spazio-tempo: la dinamica ad esempio delle stagioni o dei movimenti dei pianeti o del meccanismo di funzionamento del cuore. Nella nostra epoca della macchine e della plastica, si ritiene la scienza come il livello più alto di conoscenza, infatti è facile incontrare studiosi, che si definiscono scienziati, che credono di essere al livello massimo del sapere. Personalmente come docente e studiosa mi è capitato di notare colleghi e anche accademici che quando scoprono la tipologia dei miei studi, si ritraggono quasi a marcare lo spazio che delimita la scienza dalla non scienza. Naturalmente in virtù dei miei studi biostorici, si può ben immaginare come siamo oggetto di pietas nella stanza segreta del mio cuore.

La fase della cognizione è il livello più alto e profondo della conoscenza, in quanto presuppone un andare oltre la dimensione del cronotopo, come direbbe Einstein, cioè entrare in un livello paradigmatico, in cui si attribuisce il significato storico del perché tale oggetto abbia diritto/senso ad esistere nella scala armonica della vita. L’uomo di tale fase non è più lo scienziato che entra nelle logiche del funzionamento, magari per alterarle, ma è il giusto come direbbero gli ebrei o il santo secondo la visione cristiana o il maestro di vita, per il mondo classico. In tale organizzazione del pensiero si è in uno stato di contemplazione del uno-tutto, che fa porre la relazione finito, come il contingente reale che assume uno spazio-tempo, localizzato e datato, e infinito, spazio del tempo zero che si pone come eternità o tempo di Dio.

Si può ben comprendere come nella costruzione della coscienza, che crea la consapevolezza dell’io-mondo, le tre fasi si alternino e spesso si completino. Non esiste un erudito che non sia anche scienziato e uno scienziato, degno di tale nome, che non sia un maestro di vita: si pensi a Pascal o a Pitagora o allo stesso Einstein che ha scritto intorno al suo stato di religiosità nei confronti della vita.

  • Che differenza c’è nell’elaborazione del giudizio tra le tre fasi di conoscenza?

Con la nomenclatura il giudizio che si esprime è fermo alla superficie esterna della realtà, a quella che si può definire la membrana che isola l’oggetto dalla nicchia storica, ad esempio dire cuore, equivale alla visualizzazione dell’organo che pompa il sangue nel corpo. Esso è un isolato che si distingue dal corpo.

Con l’architettura logica, il giudizio resta nella sfera del contingente, del corporeo, del livello finito che è soggetto all’erosione del tempo, come processo entropico. Questo spiega in parte il materialismo storico dilagato nella società industriale, in cui la materia è divenuta oggetto di culto per l’Occidentale e non solo.

Con la cognizione, il giudizio si pone nella sfera dell’universale, si è di fronte ai valori che rendono fermi nel tempo i significati storici, come dignità della vita. Si può ben comprendere il perché facciano paura i maestri di vita e si spiegano così le uccisioni di monaci o vescovi o rabbini ecc. che praticano il loro esercizio di ricerca della verità nel silenzio e a margine dell’economie. Il loro farsi periferia del mondo, spaventa chi è centro del mondo.

L’essere maestro di vita, implica uno stato di disincanto nei confronti della scena della storia. Il saggio è colui che sa che la vita, nel tempo presente, è una pupazzata come direbbe Pirandello, che ci porta ad essere i pupi di giochi più alti e complessi di noi. Partendo da tale verità il giusto ama indagare sul significato profondo che rende la pupazzata mondo dell’effimero, dello stupido, dell’inutile. In questo essere fuori dalle logiche del mondo, egli diviene il nemico del mondo, poiché mostra alla coscienza di chi il mondo lo vuole che ha sprecato la propria esistenza, rincorrendo il niente.

Sprecare la vita è la vera povertà dell’uomo, in quanto noi siamo consumatori di tempo, essendo soggetti, per effetto del processo d’entropia, a nascere e a morire. In tale processo il nostro unico bene è il tempo della durata della nostra vita. Donare il proprio tempo ad ascoltare un amico, un figlio, uno studente, un impiegato, un malato o un emarginato è la vera forma di ricchezza per l’umanità. Per cui la grandezza di una società non si misura dal numero degli eruditi o degli scienziati, ma dalla presenza dei suoi saggi e, in questo, il popolo Tibetano è molto consapevole.

Imparare a coltivare la saggezza è la migliore ricetta per una società, ma il capirlo sarà in funzione dell’onesta di coscienza privata e comune, insieme. Credo, senza ombra di dubbio, che questo sia il messaggio che il Dalai Lama stia dando al mondo. Fare finta di non vedere ciò che sta accadendo, equivale ad essere conniventi con chi vuole, nel mondo, implementare lo stato della morte.

domenica 9 marzo 2008

Hédi Bouraoui: La funzione storica dello Scriba

di Antonia Colamonico

Nell’organizzazione sociale egizia, un ruolo di primaria importanza era attribuito allo Scriba che svolgeva la funzione storica di essere memoria. La grandezza di una Civiltà è riconoscibile dall’opera dei sui scribi che proiettano nei piani di futuro i traguardi sociali e culturali che essa ha raggiunto.

Essere memoria impone un’onestà intellettuale che non sempre si sposa con le logiche economiche e politiche. Pur nei limiti degli spazi di movimento, dovuti alle tirannie sempre presenti in ogni epoca, lo scriba è il detentore delle chiavi di lettura della realtà. Egli è l’occhio indagatore che ricerca la verità quale area dell’universalmente valido.

Parlare di verità implica assumere mentalmente una posizione di distacco dalle logiche del quotidiano, per osservarle, rallentate, da lontano con un occhio disincantato, inteso questo come una dimensione di lettura che sappia tenere a freno le passioni, le ambizioni, i tornaconti immediati, le clientele, con le relative servitù intellettuali ed economiche.

Molti oggi si definiscono scriba, ma l’esercizio della scrittura volta all’universale, richiede una scuola di umanità che è fatta di: ascolto, privazione, silenzio, esclusione e anche sacche di una certa povertà…

Col romanzo La donna faraona, Hédi Bouraoui fa una bagno nella memoria della civiltà egizia, che egli pone a radice di tutte le società che hanno preso corpo e dunque storia, intorno al Mediterraneo. Lo scrittore, tunisino di nascita, francese d’adozione, canadese per professione, cittadino del mondo per vocazione, riportando alla luce la figura di Hatshesput che divenne la prima donna capo di stato della storia, pone a base del Nuovo Umanesimo la capacità dialogica delle genti che non equivale alla perdita d’identità delle singole culture, ma alla condivisione dei valori universali che, proprio perché tali, sono trasversali.

Hatshesput fu faraone, dopo la morte del marito Thutmosi II, dal 1479 al 1457 a. C. e regnò con grande saggezza facendo del dialogo il punto di forza della sua politica. Il romanzo è un intreccio di passato-presente-futuro, visto in una dimensione eco-biostorica, poiché i personaggi che si incontrano come guidati da una mano invisibile, intorno allo studio sulla danna faraone, intrecciano un dialogo transculturale che li porta a riscoprirsi, nelle diversità, figli di una medesima umanità.

Tra le pagine, scritte con un linguaggio poetico che prende, c’è il decalogo del perfetto scriba:

“… Vedi figlio mio, facendoti scriba, non possederai i beni di questo mondo, né la ricchezza di Cartagine, e non ci sarà nessuno che comanderà al tuo pensiero o che lo governerà… tranne l’ispirazione. In quel campo sarai libero giacché lo scriba è sempre capo di se stesso. Ma tu non sarai mai l’Annibale Barca delle tua città.

… fai attenzione alla tua reputazione. Tutto ciò che ho fatto, è per amor tuo, dei tuoi fratelli e delle tue sorelle. E il denaro viene e va come la pioggia e il bel tempo, il riso e il pianto.

Continuo a sudare giorno e notte. Ti mando lontano, lontano dal mare Mediterraneo perché tu studi le lingue…tutte le lingue dell’arcobaleno. Ho difficoltà a separarmi da te, ma so dove ti mando: nella residenza dei libri perché tu t’inebri di verità. Eppure, presta attenzione alla bellezza, la strada è utile quanto la lettura! Un giorno vedrei che il tuo lavoro di scriba sarà il solo che durerà, come le nostre colonne dopo l’incendio, il cielo e il deserto…

Ma lo scriba deve dapprima ascoltare… ascoltare fino a spegnersi e a scomparire, giacché chi ascolta fino ad annullarsi è colui che ha il potere d’agire. Tu dominerai il saper fare, tu proferirai le parole che rassicurano e che castigano, quelle che consolano rimproverano, tranquillizzano o parlano per enigmi…

E tu saprai comminare con i grandi del tuo secolo. Non quelli che governano la città, le province, le nazioni, ma quelli che perseguono e domano la verità con tutta la loro passione…

Vedi, ti ho messo sulla strada di Dio, e Dio è con te. Tu potrai riempire solo le pagine bianche del tuo destino. Il tuo methoub è scolpito sulla tua fronte e nel cielo. Non è nient’altro che lo specchio degli scritti dell’aldilà. La tua mano e il tuo gomito l’accolgono come l’alba dopo la notte.

Vedi, quando sarai nel tribunale dove tutto si giudica, ti ascolteranno giacché il tuo Verbo è creazione che agisce e discorso che irradia. Piacere di ciò che è logico, esso sconvolge e ristabilisce l’armonia.

Vedi, anche se manchi di cibo, di un appartamento o di un palazzo, tu sarai sempre alloggiato e nutrito sul marmo del tribunale e si rispetteranno le parole che tu saprai trascrivere e proferire… perciò apri bene gli occhi. Fai attenzione al tuo animo, che deve amare tuo padre e tua madre così come deva amare Dio, perché tutti e tre ti abbiamo messo sul cammino della vita…”

  • Perché lo scriba?

Nella Società della Conoscenza, tutti siamo chiamati ad essere scriba della verità. La nuova società potrà nascere solo quando, con una salto di prospettiva, si comprenderà il valore storico, economico, politico, sociale e quindi culturale di un abito mentale disincantato nei confronti delle idolatrie di tutti i tempi. Essere scriba per se stessi e per gli altri, non implica uno stato di povertà o di miseria, ma un disinganno nei confronti del possesso “…cibo …appartamenti…palazzi…” che divide e irradia le forme d’ingiustizia nell’evoluzione della spugna storica.

Le pagine di Bouraoui sono di una bellezza indiscutibile e richiamano il lettore ai valori universali e quindi trasversali che sono un di più e un al di là delle semplici cose. Il ruolo dello scriba, come memoria e, dunque, coscienza storica della società, è quello di riportare all’ordine naturale della vita. E in tal senso tutti siamo chiamati ad essere scriba, solo in tale modo la Società della Conoscenza potrà farsi democrazia.

Bibliografia:


giovedì 6 marzo 2008

Il Nuovo Umanesimo quale nuova stagione per la Scuola

di Antonia Colamonico


Siamo di fronte ad un salto epocale, in cui il mondo si fa sempre più piccolo e nel contempo sempre più grande. Più piccolo poiché la scena della storia è sempre più un unico grande villaggio, in cui riecheggiano e ribalzano da un capo all’altro le idee, le metodologie, le aspettative e le difficoltà che intrecciandosi creano bisogni e modelli di vita comuni. Più grande, poiché in questa megastruttura, prendono corpo le differenti identità locali che chiedono di esercitare un ruolo importante nelle dinamiche economiche, politiche, culturali generali.

Osservando con una lente allargata la scena storica si nota come essa stia prendendo la forma di una grande rete di nodi interconnessi in cui ciascuna identità-nodo assume il doppio ruolo di centro/periferia del mondo.

Essere centro/periferia insieme è la chiave di lettura che permette di evolvere le difficoltà in convenienze, le povertà in occasioni di opportunità. Per questo è importante parlare di stagioni della scuola, poiché il termine stagione implica l’accettare una visione dinamica della vita che, nel procedere del tempo, possa aprirsi al cambiamento.

Esiste un tempo per vivere e un tempo per morire; un tempo per costruire e un tempo per distruggere. Ora la domanda da cui partire è:

  • quale tempo è questo per la scuola e, in senso più ampio, per la società?

Certo non sembra questo un tempo felice. Si direbbe che qualcosa si sia rotto nel gioco della vita civile, c’è una scollamento tra la società adulta e quella giovanile come se fossero due meteore che nel loro viaggiare verso l’ignoto si allontanino sempre più. Ma in questo stato di disagio urge assumere, nei confronti della realtà storica e sociale, una posizione netta, decisa per capire cosa siamo, da dove veniamo e dove andiamo.

È questo il tempo della presa di coscienza che alcune linee ideologiche poste nel passato, indipendentemente dalla collocazione a destra o a sinistra, sono decisamente superate. L’intero sistema di certezze su cui si è costruito negli anni ‘70-‘90 sta mostrando una molteplicità di crepe, tra queste quella che fa apparire la stessa scuola di massa come una scuola di non democrazia.

Ci sono stati gravi fraintendimenti che hanno portato a confondere il diritto allo studio, sancito dalla nostra costituzione, con il diritto ad essere omologati in una identità di gruppo che non avendo saputo salvaguardare le identità personali, ha finito con l’annullare le responsabilità civili e culturali di ciascuno.

In nome di una falsa uguaglianza si è negato il diritto di essere semplicemente se stessi, il diritto di essere un’identità consapevole e aperta al dialogo. Il passaggio dalla scuola d’elite alla scuola di massa ha innescato un processo di massificazione delle conoscenze che, sminuite nel loro significato profondo, hanno mostrato tutta la stupidità di un sapere confezionato in serie in cui le vecchie forme di analfabetismo e di emarginazione si sono intrecciate con gli analfabetismi di ritorno. A tale difficoltà cognitiva che ha sminuito il significato della scuola, si dovrà urgentemente porre rimedio, partendo da una constatazione di fondo che non esiste un sapere da trasmettere, bensì uno da costruire.

La conoscenza non è un dato come una forma finita che possa essere ceduta da un docente ad un discente, ma un appreso, quale scoperta privata che richiede la partecipazione attiva di chi compie l’azione del prendere e nel saper prendere assume coscienza di sé come soggetto consapevole delle sue capacità a saper organizzare in definizioni di senso la realtà. Dare senso-direzione alla conoscenza è la meta dell’azione educativa. In questo nodo semantico di dato/preso si giocherà il futuro dell’organizzazione scolastica che aprirà al nuovo umanesimo, in cui le discipline si porranno non secondo l’antica dicotomia tra un sapere scientifico e uno umanistico, ma come una rete di nodi che si irradiano in una molteplicità di costruzioni disciplinari, intersecanti che danno forma frattale alla conoscenza.

Il salto epocale precedentemente indicato si pone come un salto cognitivo che porterà ad un’organizzazione delle conoscenze a sistemi di significati complessi in cui le stesse conoscenze si posizioneranno come nodi semantici di confine/svincolo, in grado da un lato di delimitare i sensi, circoscrivendo i campi d’indagine e dall’altro di aprire i significati ai campi nuovi, creando sempre novelle forme di consapevolezze. È quel gioco di centro/periferia precedentemente posto che fa fare il salto di qualità da semplici consumatori di informazioni a creatori di informazioni.

Se la conoscenza è una conquista personale che parte da un bisogno interiore che fa assumere l’impegno dell’esplorazione, allora la scuola dovrà elaborare un nuovo significato a giustificazione del suo persistere nella storia.

Necessita un salto di prospettiva, come un cambio di direzione dello sguardo, da una occhio che legge il passato, per perpetuarlo negli stati di presente, ad un occhio che sa guardare nel futuro per anticiparlo negli stati di presente.

Anticipare il futuro richiede una grande capacità di lettura, poiché si passa da un sistema chiuso di eventi certi e compiuti, ad uno aperto in cui tutto può risultare il contrario di tutto. Il cambio di direzione dello sguardo implica la capacità a saper giocare con l’incertezza e leggerla come la forza creatrice del miglioramento privato e collettivo. Si può facilmente comprendere come il compito della scuola oggi non è quello della semplice trasmissione acritica dei saperi disciplinari, ma è quello di offrire delle situazioni di apprendimento, come una palestra della mente che sia in grado di:

1. Aiutare i ragazzi ad organizzare un piano cognitivo ed emozionale personale per saper affrontare le sfide della complessità

2. Offrire agli studenti occasioni di acquisizione dei saperi e dei linguaggi, favorendo l’autostima con relativa autonomia nell’azione del ricercare.

3. Sostenere il pieno sviluppo della persona umana che porrà lo studente al centro dell’azione educativa, facilitando l’acquisizione di una capacità decisionale che gli permetterà di essere centro/periferia della relazione storica.

4. Organizzare la classe come una rete uno-tutto, per salvaguardare il singolo e il gruppo nell’ottica dello star bene insieme

5. Insegnare ad esplorare i grandi oggetti della conoscenza come la vita, la natura, l’universo, il corpo, la mente, la storia, la religione, la scienza ecc. per trovare la collocazione e il significato storico-culturale.

6. Diffondere i valori di una umanità integrata nella natura e non nemica della natura, per aprire le menti ad una nuova visione di solidarietà che si ponga come una speranza per tutti e non per i più fortunati, i più furbi, i più raccomandati.

7. Promuovere i saperi del nuovo umanesimo, imparando il valore del limite che permette da un lato di ridimensionare il proprio ego, dall’altro di attuare il salto verso uno spazio più ampio che implichi la presenza dell’alter. In questo incontro dell’io con il tu la storia si fa dialogica della vita e si compie come democrazia.


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