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Boston, USA

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linea di fuga verso il mare

mercoledì 27 febbraio 2008

La coscienza storica tra passato-presente-futuro


Relazione alla presentazione del libro: Giuseppe Pietroforte. La Chiesa di San Domenico in Acquaviva delle Fonti - cinque secoli di storia. Acquaviva delle Fonti. 1997

Acquaviva 21 Novembre 1997

Il testo “La Chiesa di San Domenico in Acquaviva delle Fonti - cinque secoli di storia” si presenta come un ampio percorso di ricostruzione del passato non solo della Chiesa di San Domenico, ma della stessa comunità cittadina. Per poter comprendere il significato dell’esplorazione compiuta dall’autore, bisogna riflettere un attimo sulla condizione storica dell’uomo. Egli vive in uno stato di eterno presente, poiché egli è chiamato a rispondere, attimo per attimo, agli eventi che si possono chiamare i movimenti della vita. Per comprendere meglio si potrebbe utilizzare la metafora del mare.

La vita è come un immenso mare eternamente instabile ed imprevedibile, ora calmo, ora agitato, ora in bonaccia, ora in burrasca. L’uomo vive in tale movimento, nuotando con maggiore o minore consapevolezza dei significati delle sue stesse azioni; queste sono i piccoli gesti che quotidianamente si è portati a compiere.

Vivere la vita è un impegno così grande e così dispendioso che porta automaticamente a cancellare il passato via, via che trascorre, permettendo al pensiero individuale e collettivo di dimenticare. Tale processo di rimozione continua si chiama entropia, intesa come perdita di informazione che a lungo andare può trasformarsi in una perdita di identità. Si può dunque dire che la condizione storica dell’uomo è l’ignoranza, condizione di cui Cristo fu molto consapevole, quando nei racconti sul Regno sottolinea l’affermazione “...Signore quando io ti ho incontrato...”. Il concetto di ignoranza ricorre spesso nella Bibbia ed è associato alle metafore della luce e del buio.

L’uomo può di fronte all’ignoranza rispondere o accettandola con rassegnazione o provando con un lavoro di risalita, neghentropia, a ridurre i gradi di non conoscenza. Il lavoro di Don Peppino assume ampio significato, proprio perché si pone in questa seconda linea di risposta che può essere chiamata la coscienza storica. Che cosa è il Conoscere se non il mettere in luce zone in ombra. Se non lo stappare alle tenebre della memoria frammenti di vissuti vicini o lontani.

Il lungo lavoro di ricerca che ha portato alla stesura del libro, è stato un risalire passo, passo, momento per momento, il passato della comunità cittadina e della chiesa di San Domenico per riscoprire la faticosa strada, tracciata nel corso di cinque secoli, che ci conduce sino a questo incontro odierno.

Ogni singola azione, anche la più umile, potrà assumere un significato, solo se è proiettata o come direbbe il grande Agostino dilatata in una dimensione di passato-futuro.

In questi anni di ricerca, l’autore, consapevole dell’importanza di una memoria storica, ha raccolto tutti i materiali, i documenti, le mappe, le foto, le diapositive... che, oggi, danno corpo al presente volume; così facendo egli ha permesso alla stessa comunità parrocchiale e cittadina di uscire dalle angustie della immediatezza, per acquisire una dimensione allargata a cinque secoli di Storia.

Esplorando il passato egli ha di fatto elaborato una dimensione di futuro, fatta di chiara consapevolezza della continuità della vita; ed è questo è il grande regalo alla Comunità: La vita è più forte dei momenti bui, delle incomprensioni, delle incertezze, dei traumi che hanno visto le fasi di ascesa e di crisi del complesso chiesastico.

In sintesi il testo ricostruisce l’identità della vita parrocchiale, partendo da un passato lontano 1471, anno di fondazione del Convento di Santa Maria di Loreto, in Acquaviva che in seguito prenderà il nome di San Domenico. Il racconto attraverso salti, dovuti a quel processo di entropia che ha prodotto una perdita irreversibile di informazione, giunge sino ai giorni nostri. Ogni lettore, date l’ampiezza dei temi trattati e la ricchezza dei documenti e delle immagini, avrà modo di collocarsi all’interno del lavoro privilegiando alcuni aspetti ad altri, in base alle diverse simpatie.

La mia personale attenzione è stata attratta inizialmente dalle belle mappe catastali che disegnano le tipologie di coltura dei terreni, le locazione dei caseggiati e poi dai documenti notarili relativi alle donazioni al feudo domenicano. Il feudalesimo con la grande proprietà fondiaria ecclesiale fu un fenomeno così stratificato e capillare in Europa che la stessa comunità domenicana acquavivese non ne restò immune.

Nella logica del tempo donare parte delle proprie ricchezze era una consuetudine normale, la Chiesa si poneva a difesa dei bisognosi attraverso l’assistenza, il soccorso, l’accoglienza che venivano ufficializzate sia nelle Regole delle comunità religiose e sia negli Statuti delle confraternite, come quelli riportati. In una società povera di moneta il bene di scambio era la terra. Come oggi si risponde agli inviti del parroco con una parte di stipendio, così negli anni tra il 1500 e il 1800 dare un contributo, alla Chiesa, equivaleva alla donazione di una parte della proprietà. Non deve quindi meravigliare che il convento dei domenicani possedesse case, masserie, lamie, terreni a seminativo, vigneti, uliveti, boschivi... che venivano amministrati o direttamente dai frati o dati in locazione alla popolazione più bisognosa che godeva di un ricovero.

Nell’età napoleonica, volendo mettere fine al feudalesimo in nome delle libertà, furono emanate le leggi sull’eversione della feudalità che portarono alla creazione del demanio, cittadino e statale, con la confisca dei beni e la chiusura di molti conventi, tra i quali lo stesso convento domenicano di San Domenico, siamo intorno al 1811. Le leggi se da un lato privarono dei beni fondiari le chiese per permettere la nascita di un ceto borghese in grado di dare una spinta verso un’economia di mercato; dall’altro impoverirono ulteriormente le popolazioni più povere, privandole di quelle consuetudini di assistenza, soccorso, ecc. esercitate dalle stesse comunità ecclesiali, ad esempio i beni della mano morta che stabilivano locazioni quasi irrisorie, cesti di frutta, pollame, uova, ricotta, come risulta dagli atti riportati, per andare incontro alle povertà.

La vendita poi negli anni della Destra Storica (1861-1876) da parte del Regno Italico delle proprietà ecclesiali confiscate, se introdusse un ceto medio, di fatto non mutò lo stato di povertà, poichè i ricavati delle vendite non furono rinvestiti in loco, ma trasferiti al Nord per la costruzione della rete ferroviaria, essenziale alla nascente industria settentrionale. Come ebbero modo di sostenere gli storici meridionalisti: i nuovi proprietari non introdussero negli anni tra il 1870-1890 nel mezzogiorno le innovazioni nei sistemi di coltura e di gestione, ma fecero ancora perdurare i decrepiti vecchi metodi feudali, spingendo le popolazioni in terre oltreoceano.

Povertà si aggiunse così alla povertà e ancora una volta fu la Chiesa, privata dei suoi beni ma non del suo spirito cristiano, ad andare incontro alle necessità con il diffondersi delleOpere Pie”. In documenti riportati, la confraternita del Rosario che si identificava in San Domenico, pagava i funerali e le degenze in ospedale, ai più bisognosi.

Se si osserva attentamente con un occhio allargato alla storia dell’intero Paese, si può comprendere come agli anni bui della Chiesa di San Domenico che dissacrata divenne stalla per i cavalli dell’esercito, corrisposero i momenti critici della vita stessa nazionale. Povertà, forte migrazione, guerra e tanta, tanta ignoranza da creare i vuoti informativi del racconto.

Con la ricostruzione del Paese dopo la crisi del primo dopo guerra, nel 1937, si ebbe la Costituzione della Parrocchia di San Domenico. La nuova identità si pose come il nuovo polo di aggregazione per la comunità, solo con un’inversione di tendenza, mentre prima erano stati i laici a secolarizzarsi, ne era esempio l’abito della confraternita, ora è la stessa chiesa a laicizzarsi. Processo questo che fu esaltato con la svolta del Concilio Vaticano II e in loco con l’azione innovatrice di Don Peppino Pietroforte che posto alla guida della parrocchia, ne rianimò lo splendore, in un momento di fuga dalle chiese.

Oggi visitando il Centro San Domenico, in una qualsiasi celebrazione, emergono le dimensioni della partecipazione, della gioia, della fiducia, del dialogo e dell’operatività anche dell’oratorio con i suoi gruppi di studio, di lavoro e di preghiera. Stati d’animo tangibili, anche, attraverso la ricca documentazione fotografica che chiude le pagine del testo. I visi dei fedeli sono sorridenti, sereni ed è questo il volto nuovo del rapporto di fede, in una Comunità in Cammino che si presenta fiduciosa e consapevole del amore di Dio, alle porte del terzo millennio.

Un altro nodo interessante del racconto, per misurare il rapporto comunità parrocchiale/Nazione, è il quadro statistico relativo ai battesimi, alle cresime, ai matrimoni e ai funerali, che va dal 1937 al 1996.

In 60 anni di vita nella parrocchia sono stati somministrati ben 4091 battesimi e 2308 funerali, 1207 matrimoni e 3361 cresime. Leggendo a salti, nel 1937 furono battezzati 51 bambini, nel 1964 (anno del boom economico) 111, nel 1980, 31 nel 1996, 43. Se si cerca, poi, di costruire un rapporto natalità-morte attraverso i battesimi e i funerali, si scopre che nel 1937 a fronte di 51 battezzati si trovano 45 funerali; nel 1964 a fronte di 111 battesimi; 29 funerali e questo potrebbe indicare la crescita della durata media della vita a seguito del benessere economico. Nel 1980 il rapporto è di 31 a 37, per la prima volta si può cogliere un’inversione; la mortalità supera la natalità. Nel 1996 il rapporto è di 43 a 44, e si può definirlo a crescita zero.

Senza ombra di dubbio, la pubblicazione La chiesa di San Domenico in Acquaviva delle Fonti è un grande dono fatto dall’autore a tutta la comunità, poiché dà il senso di appartenenza, per esempio rincorrendo nelle pagine il ritornare dei cognomi nei cinque secoli; cognomi che hanno ancora oggi un volto, un nome e un’identità che magari ti è seduta accanto nel banco. Tale ritrovarsi nella storia, aiuta a sentirsi parte di un tutto, aiuta ad essere meno soli.

A conclusione, la lettura del volume fa comprendere come il micro-mondo Parrocchia di San Domenico, sia di fatto un riflesso-immagine del macro-mondo Cristianità.

Potersi sentire custodi dei valori evangelici di solidarietà, libertà, accoglienza, amore, è la più bella prospettiva di futuro che si possa progettare, in un momento storico di grandi sconvolgimenti di economie e di etnie.

sabato 23 febbraio 2008

L'organizzazione di una visione a occhio di mosca

L'immagine è l'ingrandimento di un occhio di mosca, che assume le sembianze di un cavo di miele, la particolarità di una simile struttura oculare è quella di essere un occhio/occhi. È Importante riflettere su cosa significhi ai fini dell’azione di lettura del campo-habitat una tale costruzione del campo visivo. La mosca si presenta come un individuo biostorico che percepisce uno spazio-habitat fortemente destrutturato, come se fosse scisso in cento sottospazi, ciascuno dei quali assume in relazione all’angolazione di lettura una curvatura particolare. La visione complessiva è quella di una molteplicità di angolazioni che rendono scissa e deformata la realtà.

Le deformazioni dovute alla particolarità dell’occhio, da un lato rendono la mosca miope, i suoi occhi sono come delle lenti d'ingrandimento che accorciano la possibilità di lettura a campo profondo, dall’altro accelerano le sue possibilità di risposta all’azione. Per comprendere meglio, la mosca vede a 360°, cioè il suo campo d’osservazione ha un’apertura che le consente di vedere oltre che d’avanti a sé, anche, alle spalle, in giù, in su, infatti quasi tutta l’attività cerebrale è impegnata nell’azione di lettura. In cosa si traduce tale possibilità di controllo del campo: semplicemente nella velocità d’elaborazione di risposta alla vita.

Ha fini di un’indagine metodologica sul pensiero complesso, è della massima importanza, dato che il sistema informatico si organizza in nanosecondi, acquisire velocità nell’elaborazione di risposte; infatti il rapporto tempo/società/individuo si è fortemente evoluto, per cui se prima si ragionava, ad esempio, in mesi, poi in ore, oggi bisognerà imparare a ragionare a tempo 0.

  • Cosa implica un’organizzazione mentale a tempo reale?

Nella comunicazione tra l’io e il campo, vista come dialogica emittente/destinatario, il tempo dell’attesa tra l’invio di un input-informazione e quello della risposta con un nuovo input-informazione, dovranno pressoché coincidere. Questa è la più grande rivoluzione della storia, poiché implica una democratizzazione nella comunicazione.

Agire a tempo immediato, significa ripulire la mente di tutte quelle sovrastrutture che rendono ipocrita la vita. L’ipocrisia nasce dal ragionare troppo sul tornaconto dell’azione, poiché un tempo più ampio di riflessione, produce una maggiore proiezione di effetti di evento, le proiezioni danno gli stati di potere sull’azione. Cercando di essere più espliciti, il dominare implica un fare aspettare, quale tiranneggiare. Non è un caso che le civiltà più lente abbiano avuto delle strutture politico-ecomoniche più autoritarie.

Ritornando alla mosca, acquisire una analoga capacità di lettura è importante per velocizzare il pensiero, poiché tale mondo scomposto, in chiave biostorica, significa muoversi nell’azione di lettura con una conoscenza destrutturata, organizzata a quanti-luce informativi, che si prestano ad essere riordinati in funzione dei bisogni contestuali.

Esiste una relazione osservato/osservatore/osservazione, per cui ogni intreccio informativo richiede di volta, in volta un modellamento tra i tre. Il sagomarsi alla nuova situazione storica è una ristrutturazione del pensiero, che prende consapevolezza del mutamento della realtà. L’adeguamento, come nuovo ordine-direzione informativo è più celere se il ragionamento non è un gia costruito, ma una scomposizione che si presta ad essere sempre costruita: plasticità del pensiero creativo.

Siamo in un momento storico di grande riordino mentale, poiché per essere all’altezza del cambiamento, necessita disincrostare le visioni di realtà. Tale rivisitazione dei personali e sociali sensi comuni, può essere meno o più traumatica in funzione dell’apertura mentale di ognuno, che a sua volta è legata al senso di autostima che gli individuo-società sviluppano attorno al sé.

L’autostima è la capacità ad assumere la funzione storica. Più si saprà adempiere al proprio ruolo e più alta sarà la consapevolezza di saper essere in grado di leggere e rispondere agli imprevisti della realtà.

In una organizzazione biostorica il dentro/fuori di sè, come individuo-soggetto/campo-nicchia storica o crescono insieme o muoiono insieme. Vivere o morire sono i due poli storici a cui può tendere la dinamica della vita.

Per un approfondimento:
  • Antonia Colamonico. Ordini complessi - Carte biostoriche di approccio ad una conoscenza dinamica a cinque dimensioni. Il Filo – Bari, 2002.
  • Antonia Colamonico: Edgar Morin and Biohistory: the story of a paternity. In World Futures: The Jounal of General Evolution, a cura di A Montuori. Vol. 61 - n° 6, pp. 441-469, part of the Taylor & Francis Group - Routledge, August 2005.
  • Antonia Colamonico. Dall’esplorazione biostorica alla geografia del Pensiero Complesso, in AA VV, Cultura e pedagogia della Riforma, pp. 129-140. Ed Cacucci – Bari, 2006.


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