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Boston, USA

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linea di fuga verso il mare

sabato 26 aprile 2008

Tessuti

Filare le
parole.
Ricomporre
i gomitoli
dei segni

le matasse
dei punti
i velli dei
pensieri.
E...
poi...

Cardare i
pensieri.
Comporre
le matasse e
i gomitoli.

Tessere le
parole.



(da Il filo, Antonia Colamonico, Agosto 1994)

martedì 15 aprile 2008

La gabbia

(da Ed altro in Le stagioni delle Parole. 1994.)

Ci sono cose e cose. Cose per le quali vale vivere. Cose per le quali vale morire. E, poi, tutte le altre per le quali non vale niente.

Elena lo capì guardando negli occhi, quel quanto indivisibile d’uomo che con un sorriso azzurrino stava elaborando la solita scusa per fare tardi la sera. Il suo dire perdeva a poco, a poco senso e il suo corpo acquistava un nuovo spessore.

Liberata dalle vocali, sillabe e consonanti che la strutturavano in un complesso d’artefici, la sua nudità emergeva pallida e informe, come spettro di cosa che non riusciva a fondersi in quel insieme di fonemi.

Elena seguiva l’evolversi dei suoni e il suo occhio come un bisturi tagliava una parola, un riflesso, un sorriso e via, via che incideva, la gabbia si sfaldava rivelando il primordiale. Finita la sua operazione, anch’egli smise di parlare. Si guardò le unghie della mano destra, sistemò un sopracciglio e un sorriso giallino di compiacenza apparve per pochi attimi in quella bocca leggermente socchiusa che lasciava, volutamente, intravedere il biancore degli incisivi.

Era un esemplare maschio di uomo decisamente ben fatto, con una muscolatura forte e una criniera salda e ricciuta. Anche il suo torace era cosparso di pelo che si intravedeva dalla camicia. Era nelle sue movenze un che di primitivo e di felino.

Ecco - si disse Elena - una cosa per la quale non vale niente.

domenica 6 aprile 2008

LA FINESTRA


I ciliegi nascondevano nel bianco i rami, quegli stessi rami che tra poco più di un mese si sarebbero ricoperti di verde e di rosso. La fioritura di quei campi le ricordò la sua terra e il profumo delle zagare che non ti lasciava.

Agata, riprese a leggere: - d’adulti si è come a sei anni. A tale età si raggiunge lo stato d’equilibrio della fase infantile che permette di essere intraprendenti e fiduciosi verso la vita.

Guardò di nuovo fuori dalla finestra verso la campagna.

La nostra epoca atea - pensò - ha sostituito i confessori con gli psicologi, introducendo un nuovo rapporto di sudditanza, basato sulla scienza.

I suoi occhi fissi al di là del vetro di quella finestra che delimitava il suo spazio vitale, intravidero lo spaccato di infinito. L’azzurro del cielo era qua e là interrotto da bianche nuvole informi che aspettavano di essere definite.

Si rivide sulle dune con i suoi fratelli rincorrere velieri, greggi, montagne di gelato, volti bonari. Quante volte avevano giocato a tuffarsi verso l’alto e i loro cuori si erano sentiti incantati dalle incognite del domani.

C’era un qualcosa racchiusa in quella struttura quadrata di legno e vetro che la fissava. Come un non detto che voleva interferire nella sua azione di lettura, impedendole di proseguire: - dallo studio dei comportamenti nelle situazioni di gioco è possibile costruire l’immagine adulta.

Di nuovo, Agata si fermò. Si sentiva chiamata da un occhio che non voleva restare assente.

Un occhio che la fissava da quella trasparenza e la costringeva ad alzare il capo.

Quella calamita evanescente che si riempiva di immagini di cielo in un attimo catturò tutti i raggi del suo campo e li riflesse, amplificati, nella piega del suo cuore e con seta cucì in un insieme quelle frazioni di vissuto con quel intero di Eternità.

Intorno si era fatto silenzio grave e tutto si era fermato.


(Da Ed altro in Le stagioni delle Parole, inedito. 1994 - In Ordini Complessi. Carte biostoriche di approccio ad una conoscenza a cinque dimensioni. Ed. Il Filo, Bari 2002.)

Nota autrice.

Ed altro è la ripetitività di ogni giorno, raccontata con l’incalzare del Tempo che ingoia nel suo andare sogni e creatività. È la sensazione di incompletezza che ci assale, quando, fermando l’attimo, ci mettiamo alla finestra a guardarci vivere.


sabato 5 aprile 2008

LE FILASTROCCHE DI SPAZIOLIBERINA ED ALTRO:Premessa

da Le Stagioni delle Parole di Antonia Colamonico


(Antonia Colamonico, presentazione del saggio Fatto Tempo Spazio. Libreria Quintiliano, Bari. 20 maggio 1993)

La raccolta di poesie e racconti le filastrocche di spazioliberina ed altro è stata scritta nell’arco di due anni, tra la primavera del ‘91 e la primavera del ‘93. Si presenta come un insieme frammentato di emozioni, pensieri, percezioni che piano, piano disegnano una nuova coscienza, la quale va ad inserirsi, inconsapevolmente, nella corrente di pensiero che fa capo al postmoderno.

Il punto di partenza è la coscienza della grave crisi di valori, seguita al crollo delle ideologie e dei miti del ‘900 e dalle ceneri di un’identità frantumata prende corpo una nuova soggettività che vuole rivendicare quegli aspetti dell’io, negati nella società di massa, come l’aspirazione d’infinito, la libertà del singolo, la capacità di sognare e di progettare una realtà di amore.

La scoperta del disordine del vivere, quale impossibilità per l’uomo a programmare nei dettagli il futuro, evidenzia la presunzione di chi ha creduto di poter ordinare la società secondo una visione univoca e di conseguenza autoritaria.

Il caso, inteso come l’imprevisto che ci governa, porta alla scoperta del tu, quale altro da sé che può insegnare con la sua diversità e univocità un modo nuovo di essere uomo. La scoperta del limite riconduce a Dio; un Dio che nel racconto la finestra entra nella Storia.

Attraverso un gioco d’introspezione che a volte ha del paradosso, la raccolta giunge alla riscoperta della semplicità quasi fanciulla dei detti, dei sentimenti e dei comportamenti. Semplicità che in un sistema fortemente strutturato ed irrigidito in schemi sempre più complessi, come quello Occidentale, è impersonata dalla protagonista, spazioliberina, non a caso donna e custode della maternità e continuità della vita. Ed è proprio lei, donna e madre, ad aiutare il suo strutturato spaziostretto (... un po’ uomo, un po’ bambino...) a ritrovare la dimensione del sogno, del gioco e dell’amore.

La raccolta, pur essendo unico il filo del racconto, si divide in due parti, le filastrocche e i racconti, scritte in due momenti diversi. Esse corrispondono a due differenti stili linguistici.

  • le filastrocche di spazioliberina
Sono un esempio di costruzione di un codice nuovo più idoneo alla velocità della società informatica che, attraverso il potenziamento dell’occhio, giunge alla scoperta della dimensione spaziale, quale sviluppo di una coscienza duale e relazionale. L’occhio che legge lo spazio essendo nodale, aiuta a superare la dimensione lineare ed univoca del pensiero temporale che a lungo andare ha determinato gli irrigidimenti ideologici. L’occhio che legge lo spazio è libero di andare in più direzioni e tale libertà si traduce in una maggiore accettazione del diverso inteso come altra angolazione di lettura.

La nascita di un nuovo modo di osservare, di percepire e di costruire è evidenziata in cambiamento di stato, in cui liberina scopre il punto, lo spirito, lo spazio intesi come libertà, anima, infinito. Da tale scoperta nasce in lei la voglia di essere colore della nuova coscienza che riporterà l’uomo occidentale a Dio e al fratello del grande villaggio biostorico.
  • ed altro
Utilizzando un codice più tradizionale, si racconta il tempo del mondo, quale susseguirsi di attimi che non corrispondono ai tempi dell’io. Da tale dualismo nasce la lacerazione e la conflittualità tra le aspettative del singolo e le risposte e le richieste della società.

La constatazione della frantumazione dell’esistere, tuttavia non impedisce alle diverse donne dei veloci racconti, di costruire un’identità serena ed armoniosa, attraverso la capacità a donarsi una pausa, fermando l’attimo. Il gioco di lettura che permette alle protagoniste di aprire spazi di riflessione, è l'uscire dal sé, assumendo con un salto di prospettiva una metaposizione, non per compiere un’indagine di autocritica sul proprio operato, ma solamente per imporre al tempo della società il proprio ritmo vitale. Solo costruendo un’ecologia della mente-azione si può impedire alla voracità del mondo di schiacciare il proprio senso della vita.

L’intera raccolta, in sintesi, può essere letta come anelito ad un significato più intimo dell’esistere.


Dedico questa pagina, con un bacio, a mio figlio Marcello, in quanto le filastrocche di spazioliberina, spaziostretto e spazio birichino, hanno rappresentato l'entroterra culturale e fantastico su cui lui ha elaborato la sua capacità matematica.

giovedì 3 aprile 2008

Topologia dell’occhio biostorico tra ordine e disordine

di Antonia Colamonico

Alla base della nuova mappa gnoseologica, biostorica, si possono individuare tre concetti chiave: il senso dell’ordine, la complessità della realtà, la zona d’ombra.

L’ordine è il modo naturale d’evolversi di un organismo nello spazio-tempo, in tale processo di divenire si consuma la sua storicità. L’ordine presuppone una direzione di futuro e una traccia di passato, il passato-futuro implicano, a loro volta, la memoria che dà identità, nome a quel reale.

Ad esempio l’ordine è il processo che fa di un seme un albero, di un neonato un uomo, di una larva un verme, di un girino una rana, di un cristallo una roccia… nel processo di divenire che possiamo chiamare biostorico: il seme, il neonato, la larva, il girino, il cristallo hanno in sé l’informazione del soggetto adulto che poi diventeranno. Tale informazione è il senso dell’ordine che permette il divenire della storia.Esso è funzionale alla permanenza della vita o meglio di una particolare forma o modo di vita.

Alterando l’informazione-senso-direzione dell’ordine, automaticamente si creerà una vita nuova. Si spiegano così i grandi mutamenti che danno morte-vita alle differenti forme cosmiche.

Definito l’ordine come il valore vitale, si può provare a comprendere cosa si intenda per complessità: la complessità è la dinamica dialogica che nasce nell’insieme campo-organismo, intendendo per campo la sacca-nicchia biostorica che permette di mantenere in vita l’organismo e per organismo l’individuo-soggetto biostorico che viene forgiato, modellato dallo stato della sua stanza biostorica.

La complessità è il risultato di una convivenza, di un coabitare tra uno spazio-tempo contenitore che possiamo ad esempio chiamare cielo e uno spazio-tempo contenuto che possiamo chiamare nuvola o famiglia-bambino o bosco-albero o prato-erba o pensiero-idea o sentimento-emozione

Il coabitare rende fortemente dinamico il rapporto che è sempre soggetto alle perturbazioni di evento, come risposte vitali alla dinamica dei campi storici.

La complessità è il modo naturale dello stare insieme dell’universo dall’infinitesimo piccolo all’infinito grande. Tale campo tutto possiamo chiamarlo biostoria, come il tempo 0 dello spazio.

In natura non esiste la semplicità, ma semplicemente dei gradi differenti di complessità. È importante comprendere tale errore concettuale che per secoli ha fatto chiamare la complessità, disordine, confusione… in nome di un determinismo semplificatore che aveva privato il soggetto del suo campo-nicchia vitale e la nicchia del suo individuo.

Pensate ad un bambino senza l’interazione con la sua famiglia; ad una rana senza il suo stagno; un pianeta senza la sua stella o una stella senza la sua galassia… Tale bambino, rana, pianeta, stella possiamo definirli di carta; poiché solo sulla carta possono esistere degli organismi privi del proprio contesto vitale. Le carte sono oggetti-strumenti di lettura e quindi astrazioni che riducono la realtà ad un’immagine che non è la realtà in sé.

  • Ricapitolando, che cosa è un occhio biostorico?

Se la vita è la dinamica dialogica tra un contenuto-contenitore, tra un dentro è un fuori, i metodi di lettura tradizionali, lineari e unidirezionali, non sono più sufficienti a garantire la permanenza della vita. Nelle letture classiche l’occhio si focalizzava solo su una zona di dinamica evolutiva e perdeva le interferenze di evento, come ricaduta di effetti. Il non leggere le ricadute di fatto ha azzerato le capacità di gestione delle dinamiche evolutive, poiché non si sono registrate le modifiche a campo allargato. Si è quindi innescata una cecità che ha attivato una molteplicità di problemi non risolti.

Siamo, oggi, di fronte a quello che gli storici, chiamano la grande catastrofe ecologica e allora occorre attrezzarsi di nuovi occhiali per leggere a occhio sdoppiato le ricadute di evento su tutto l’insieme campo-organismo e imparare a ideare degli interventi di riequilibrio degli stati vitali.

Occorre quello che nei miei studi definisco l’occhio di mosca. Un occhio che sappia organizzarsi a più lenti-fuochi di lettura e che sappia leggere a 360°; zoomare i gradi di complessità; anticipare gli eventi futuri e rispondere agli imprevisti: in poche parole scegliere la vita come valore.

Per far questo, necessita evitare di cadere nell’errore della cultura classica che aveva identificato il piano di lettura con la realtà; il fotogramma limitato di un’osservazione, alla dinamica molteplice della vita, rendendo così le letture assolute e i processi vitali chiusi.

È bene precisare che il piano di realtà e il piano di lettura implicano uno scarto spazio-temporale che implica una successione temporale, come un prima e un dopo e quindi non si possono identificare come un'identità.

  • Ma che cosa è una lettura se non un eco di un qualcosa che ha smesso di essere reale!

Una cosa è vivere, altra cosa è leggere. L’occhio di lettura biostorico possiamo definirlo uno sguardo-lente che permette di osservare e interpretare la realtà a campo profondo. Nella realtà c’è sempre un qualcosa che va oltre la sfera dell’occhio e questo è il limite gnoseologico dell’uomo: per quanto egli possa affaticarsi a conoscere c’è sempre un lato buio di vita, una zona d’ombra, un effetto carsico che cresce in proporzione alle letture.

Tale zona d’ombra è l’area dell’incognita, del non letto che ha un ruolo storico, dell’imprevisto che sconvolge e ridimensiona continuamente le nostre vite. Imparare ad interagire con l’incertezza per essere funzionali alla gestione dell’alea, dell’inatteso che apre spazi nuovi nella dinamica storica è la sfida in atto. L’occhio biostorico attrezza a tale tipologia di lettura.

Lo studio in una classe scolastica, ad esempio, fa misurare il gruppo di allievi:

  • con la complessità di un luogo e la complessità dell’azione didattica;
  • con la ricchezza di echi informativi e la curiosità interpretativa della loro mente di bambini;
  • con la fatica dell’impegno di portare a termine i compiti, e la consapevolezza di esserci riusciti, nonostante gli stati di stanchezza;
  • con la gioia di aver vissuto un evento vitale e la voglia di comunicare gli appresi...
In altre parole ogni singolo bambino si confronta con la complessità che emerge ed emergerà in tutti i campi di realtà, quale ricchezza di forme e armonia di vita. Nei mesi essi fanno esperienza di complessità con un occhio di lettura, privo di idee e concetti precostituiti, che si modella alle informazioni che, di volta in volta, vengono elaborate, corrette, ridefinite … Attraverso il legame occhio-mente-mano, essi osservano-elaborano-manipolano e in tali azioni complesse, fanno esperienza della plasticità della vita, della plasticità della mente, della plasticità della parola.
  • Chiamando, disegnando, proiettando, fotografando, indagando…scrivendo…. raccontando... imparano a procedere nella vita.

Centro Studi di Biostoria - Palestre della Mente

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Forlì, 2008