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Boston, USA

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linea di fuga verso il mare

mercoledì 17 settembre 2008

Diario di Bordo - Il tempo dell’Uomo/l’uomo del Tempo




di Antonia Colamonico


L’unica vera ricchezza per l’uomo è il tempo, essendo un consumatore di tempo: gli studi sul DNA stanno parlando di tempo biologico dell’essere umano, calcolato intorno ai 120 anni. Ma i fattori psico-socio-ambientali, rendono tale lettura inadeguata alla realtà, poiché solo un pugno di uomini riesce a superare, a mala pena, la soglia dei 100 anni. Quindi gli anni che non si vivono sono rubati alla vita dalla psiche, dalla società e dall’ambiente.


La mortalità era molto alta nei secoli pre-industriali, si parlava di un’età media di 25 anni, la fase in cui si moriva di più era quella infantile, sino al 1700 su 10 bambini nati, solo 5 riuscivano a superare i primi 5 anni di vita. Con la rivoluzione industriale tutto è mutato. Oggi si parla di una soglia di 83 anni.


Il paradosso è che oggi siamo una società di vecchi, così come due secoli fa lo eravamo di bambini. L’essere vecchio o l’essere bambino è un differente rapporto con il tempo: il bambino ha di fronte un tempo aperto, tutto da riempire; il vecchio un tempo chiuso, già edificato; il primo vive nel sogno del futuro, il secondo nel rimpianto del passato.


Il bambino ha una mente permeabile, il vecchio impermeabile, secondo la definizione della spugna del pensiero. Sul piano storico le società giovani sono più dinamiche e pronte al cambiamento, quelle anziane, più lente e meno propense a rivedere i propri punti di vista. Tali considerazioni sono valide se il discorso si ferma agli aspetti generali, ma se s’indaga su casi reali, si può scoprire che esistono giovani vecchi e vecchi giovani: l’essere vecchio o giovane non è solo un fatto di anagrafe, ma anche un fatto mentale.


Si è vecchi ogni qualvolta si dà spazio al pregiudizio, al convenzionalismo, al preconcetto che fa smettere di ascoltare e di apprendere dalla vita. Esistono quindi due tipologie di vecchiaia, quella del ragazzo bullo o vittima che assume un comportamento pregiudizievole, fatto di prepotenza o sottomissione, alcool, droghe, disprezzo per la vita… e quella dell’anziano che per l’erosione del tempo, contro la sua volontà, osserva la sua spugna mentale sbriciolarsi, con i vuoti di memoria. Esistono società vecchie che sono giovani e dinamiche nel mettersi in gioco e società giovani aggrovigliate in pregiudizi che impediscono loro di crescere.


Se l’uomo è il suo cervello e se la sua ricchezza è il tempo, un cervello a tempo è l’obiettivo dell’umanità. Cosa vuol dire un cervello che ragioni a tempo? E quale è il tempo del tempo?


Non certo, come ha sostenuto Giovanni, un cervello che si tuffa nella vita dicendo sì a tutto. Tale mente dimostra solo un’incapacità decisionale, crisi da iperscelta confermerebbe A. Toffler.


Ragionare al passo col tempo è di un cervello che ha una grande capacità ad economizzare il tempo non per fare più cose possibili, ma le migliori cose possibili per una vita più lunga possibile.


Non è un gioco di parole, se si riflette bene, essendo il tempo prezioso poiché unico bene, bisogna imparare ad essere fortemente selettivi e veloci nelle decisioni vitali per l’economia di tempo.


Tra lo studiare e il non studiare, ad esempio, è più economico studiare, poiché il non averlo fatto l’indomani implicherà una serie di conseguenze che apriranno alla perdita di tempo: discutere con il prof., giustificarsi con i genitori, superare il senso di colpa… fattori questi che sbriciolano la vita in tanti rigagnoli di tempi inutili che allontanano dal tempo reale di alunno. Lo stesso esempio si può trasferire in qualsiasi campo di lavoro: è più conveniente impegnarsi che trastullarsi per poi scoprire che si è in ritardo con le scadenze.


Il tempo va vissuto con il suo ritmo che oggi si esprime in nanosecondi. Il nanosecondo scandisce il tempo di risposta tra la mano che scrive sulla tastiera e il PC che risponde: pensare e agire in nanosecondi ecco l’economia della Società della Conoscenza.



Forza ragazzi, più impegno!




Dall’amico Paolo Manzelli




CHI MUORE (Ode alla vita)



di Pablo Neruda




Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,

ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marca,

chi non rischia e cambia colore dei vestiti,

chi non parla a chi non conosce.


Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle che fanno brillare gli occhi,

quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,

quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.


Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,

chi è infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno,

chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.


Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge,

chi non ascolta musica,

chi non trova grazia in se stesso.


Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,

chi non si lascia aiutare;

chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.


Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,

chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,

chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.


Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre

che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore

del semplice fatto di respirare.


Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

1 commento:

Unknown ha detto...

Stavo morendo lentamente e senza che me ne accorgessi... Quale orrore!
Ora chiedo PERDONO a Chi mi aveva pensata e voluta...
Ora dico GRAZIE a Chi mi ha risvegliata dal tremendo torpore...
Ora sono pronta a qualunque sforzo per essere viva e sono carica di ardente pazienza per raggiungere una splendida felicità!


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