Acquaviva
delle Fonti - 30 Giugno 2014 - ore: 19,30
- Aula Magna dell'Oratorio San Domenico -
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Evento - Presentazione libro:
Giuseppe Pietroforte
Il Monastero di Sant'Antonio Abate e la chiesa di San Benedetto
in Acquaviva delle Fonti - Storia e Arte
Acquaviva delle Fonti - 2014
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Antonia
Colamonico
Perché
un monastero in una cittadina rigogliosa di acque?
Edificare
un centro di accoglienza per gentildonne
sembrerebbe, dal carteggio riscoperto, sia stata idea
di un nobile concittadino
Cristosalvo
dei Cristoforo
che nel 1575
per
testamento lasciò erede fiduciaria dei suoi beni l'Università (de
universi cives), cioè il Comune di Acquaviva, con l'obbligo di
fondare un “monastero
di Donne Monache sotto il titolo di S. Antonio Abate dell'Ordine
Cistercense e
con la regola di S. Benedetto”.
Essi
si diffusero in tutta Europa, soprattutto grazie all’opera di San
Bernardo di Chiaravalle.
Alternando la preghiera al lavoro crearono delle vere comunità
economiche,
furono grandi bonificatori e colonizzatori: prosciugando, dissodando,
impiantando nuove colture, incrementando e potenziando l’economia
agricola nei luoghi delle loro abbazie; ad
esempio si deve a loro l'allevamento dei bovini. Essi
introdussero lo stile
Gotico in Italia.
Per
noi moderni
l'idea di pilotare le vite delle figlie, inculcando e imponendo loro
la clausura al servizio di Dio, può essere motivo
di scandalo,
venendo meno il rispetto della libertà di coscienza che richiede
l'autonomia nella scelta, motivata da una vocazione, matura e
consapevole. Ma in quel momento storico l'idea
egemone era quella di dinastia
e i figli erano solo accessori per il lustro del casato. La
condizione
femminile,
poi, era al servizio del padre-padrone, marito-padrone, fratello e
figlio-padrone, essendo una società
maschilista.
In
data 1 febbraio 1611
il perito regio Virgilio Marino, circa Acquaviva, scriveva:
Per
avere un'idea dell'immenso patrimonio si può risalire al 2°
volume del Catasto Onciario di Acquaviva del
1751 in cui la lista dei beni e delle rendite,
elencati è di ben 34 pagine manoscritte:
All'interno
del cenobio esistevano i ceti
sociali,
sin dalla stesura della regola
i cistercensi distinsero
i monaci
o monache,
figli delle classi
aristocratiche e benestanti, dai conversi
o converse,
figli dei popolani, con mansioni e spazi diversi, anche nelle
sepolture. In una società
statica e rigida
che non aveva ancora sviluppato il concetto di democrazia,
tutti erano legati al ceto di nascita:
Il
riordino dei registri catastali servì da scusa ai
Sovrani per applicare una tassazione aggiornata e capillare,
in grado di far affluire maggiore liquidità nelle casse
vuote degli stati, vessati da una burocrazia sempre più
costosa e da un'economia feudale obsoleta che richiedeva investimenti
in infrastrutture:
Da
un rogito notarile del 22 maggio 1763 si legge
dell'apertura di una causa presso la Regia Corte contro
il catasto da parte delle differenti realtà monastiche e civili di
Acquaviva per ottenere una
riduzione d'imposta; fu incaricato il principe de Mari
di seguire a Napoli la causa, coadiuvato dal sindaco di Acquaviva.
Anche le calamità naturali contribuirono
all'impoverimento:
Per
comprender il bottino
di guerra
fatto dai liberali a danno della Chiesa e del Regno di Napoli, è
bene ricordare che il
28
settembre 1859,
a Palazzo Loup,
antica residenza dell’omonima famiglia che si trova a Loiano,
sull’Appennino bolognese, fu deciso di adottare la
Lira
come moneta unica
per
il futuro Regno d’Italia.
All’incontro segreto parteciparono tra gli altri Bettino Ricasoli,
Carlo Luigi Farini, Marco Minghetti (futuri ministri della Destra
Storica), Rodolfo Audinot (deputato dello Stato Pontificio, poi con
l'Unità d'Italia deputato e senatore del regno) e Leonetto Cipriani
(senatore). Insieme decisero anche l'abolizione
delle barriere doganali per la creazione del mercato
unico:
Nell'idea
del legislatore
con l'abolizione degli ordini c'era l'intenzione di estromettere
i religiosi;
ma,
dopo
una defenestrazione
controversa, nel
maggio 1866,
per adibire
il nostro monastero ad alloggio
delle truppe dei volontari
(i
garibaldini),
le monache fecero ritorno nel monastero e fu concesso loro di potervi
morire in pace, proibendo solo di accettare educande e novizie.
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Il Commento:
Il profilo storico-economico nella realtà monastica di Sant'Antonio Abate
(relatrice)
Ringrazio
don Giuseppe Pietroforte per la bellissima pubblicazione, vera pietra
d'angolo per la ricostruzione della Coscienza storica
della nostra cittadina.
Egli
con occhio vigile e discreto, sapendo di attraversare un
sentiero consacrato, ha cercato di tracciare in uno
scritto i perché e i come dell'eco informativo
“monastero di Sant'Antonio abate”
in Acquaviva delle Fonti:
- L'eco è il segno visibile del passaggio storico di alcuni fatti vitali che si sono dissolti, lasciando solo disarticolati appigli informativi.
- Quante volte passeggiando nei pressi della chiesa di San Benedetto abbiamo osservato alcune pietre incise o alcune statue in delle nicchie di palazzi!
- Chissà quanti si saranno chiesti il perché e il come di tali presenze, prive di identità!
A
questi molteplici perché e come lo
storico cerca di dare una risposta, aprendo una finestra
storiografica su uno spaccato di
passato. Infatti
a 100 anni dalla chiusura e vendita del
Monastero di Sant'Antonio abate, don Peppino Pietroforte, partendo da
esili tracce ha riportato alla luce una trama di realtà
che si era sbiadita, tanto da entrare nello spazio dell'ignoto.
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Luglio 1914 - 30
Giugno 2014
Solo un secolo!
100
anni sono circa 4 generazioni, cioè
la sequenza di un bisnonno, un nonno, un padre e un figlio. In solo 4
passaggi generazionali si è persa memoria di tale antica
realtà che aveva preso vita “forse” nel lontano 1575; non si
possiede una data certa.
1575-1914
un periodo di 339 anni, circa 14
generazioni che hanno convissuto e relazionato con tale realtà
monastica e che in soli 100 anni si è dissolta ai nostri occhi.
Riflettendo
su tale “labilità della memoria” si può
comprendere il valore culturale,
sociale ed economico di una ricostruzione storiografica che si fa
testimonianza di un modo vitale, di un abito
mentale, di una serie di fatti che potrebbero tornare
utili come casi sperimentati e collaudati di risposte
al divenire della storia:
- Il ruolo della memoria è nel suo farsi codice vitale, per saper rispondere alla vita!
La
risposta è nel concetto di Oasi.
Creare
un'oasi di serenità come rifugio per
quelle figlie e nipoti che per motivi di primogenitura non
erano destinate al matrimonio, ma alla clausura.
Chi
non ricorda la lettura manzoniana di Gertrude, monaca
di Monza, dei capitoli IX e X de I Promessi Sposi (1827) o la “Storia
di una capinera” di G Verga (1871), portata sullo schermo
dal grande Franco Zeffirelli (1993).
- Chi erano e sono i Cistercensi?
L'ordine
cistercense ebbe origine in Francia nel 1098 nell'Abbazia
di Cîteaux
da una riforma dell'ordine benedettino, per ripristinare la preghiera
e il lavoro, ritornando alla povertà del suo fondatore, San
Benedetto. Il ramo
femminile,
fu fondato qualche anno dopo nel 1125
sempre
in Francia a Tart,
a circa 10 km a nord di Cîteaux, da alcune donne devote, decise ad
imitare l’austero esempio dei monaci cistercensi.
L'ordine
fu soppresso durante la Rivoluzione Francese. Per poi riprendere
vigore come movimento
trappista
sotto
Pio VII, all'indomani della caduta di Napoleone (1815) per essere
legittimati da Leone XIII nell'ordine dei cistercensi riformati
trappisti (1891):
- I cistercensi sono stati un esempio di comunità economicamente auto-propulsiva per il benessere di un territorio!
Da
un'idea
di un laico
acquavivese che
mise a disposizione i suoi averi per un fine nobile, nacque intorno
al 1580 il primo cenobio femminile, seguito di lì a poco dalle
clarisse (1621)
e dalle francescane-cappuccine (1629,
le più povere); senza scordare quelli maschili tra cui il
convento di San Domenico
su cui don Peppino ha scritto l'altro bellissimo volume.
Non
si conosce la data
di costruzione del cenobio
delle
benedettine
e neanche l'anno del loro arrivo in Acquaviva, ma certamente al
finanziamento
del
complesso architettonico, cooperarono diverse famiglie locali e una
in particolare, i conti
di Conversano,
infatti dalla ricostruzione cronologica sulle badesse, risulta che la
prima
fondatrice e badessa
sino al 1602
sia stata la reverenda
Madre
donna
Agata Acquaviva d'Aragona
dei Conti di Conversano:
- una delle sette serenissime grandi casate del regno di Napoli, a cui lo stesso re Ferdinando I concesse il 30 aprile 1479 di aggiungere al nome l'appellativo "d'Aragona".
Per
comprendere
le logiche
che spinsero gli uomini del tempo a tale scelta, necessita indossare
lo sguardo-lente
di quel particolare periodo storico.
Il
matrimonio era un contratto stipulato tra due famiglie
per motivi di interesse, senza alcuna attenzione alle aspettative
degli sposi a cui toccava solo ubbidire:
- lo stesso concetto di amore era subordinato a quello di interesse economico della famiglia; ai due coniugi era chiesto semplicemente di sopportare la volontà di Dio, letto a sua volta come un Dio-padrone.
Era
impossibile per una donna in tale realtà affermare la
personale indipendenza, inoltre le proprietà non erano
divisibili e solo il primogenito, maschio, ereditava il
titolo con il feudo e il palazzo.
Ogni
nucleo famigliare aveva una sovrabbondanza di figli e
figlie (dagli 8 ai 12 per coppia); alcuni nascevano per il
matrimonio, altri per il clero, altri per la carriera militare.
Naturalmente essendo figli di principi o di conti conservavano i
privilegi di casta ed erano sempre trattati da aristocratici.
Lasciare
una figlia, non nata per il matrimonio, alla mercé di un
fratello-padrone non sempre era cosa raccomandabile e i padri come
alternativa,
dietro pagamento di una retta o di un lascito (nel nostro caso
350
ducati)
preferivano chiudere
le ragazze in un ambiente protetto
che dava loro rispettabilità e autonomia economica e culturale:
- Spesso erano le stesse ragazze che per svincolarsi da matrimoni combinati, non graditi, preferivano vestire l'abito monacale, un esempio famoso è quello di Santa Chiara.
Alle
donne non era concesso l'ozio mentale in cui coltivare
il pensiero. Spesso era vietato loro anche il semplice imparare a
leggere e a scrivere. L'essere monaca, invece,
implicava lo studio con:
- l'esercizio del canto, la contemplazione teologico-filosofica, la musica, la poesia, oltre al ricamo e alla preghiera.
- La giornata era organizzata in una successione sequenziale di ore e azioni che la rendevano ordinata e laboriosa, oltre che contemplativa.
“vi
è ancora un monastero di monache benedettine... 40 monache
velate, 11 novizie, 3 serve
et viveno comodamente delle loro entrate, dove si chiudeno ancora
donne forasterie con dote almeno di 350 ducati,
… lo loro luogo sta quasi nel mezzo della terra, posto in isola di
comoda abitazione, con giardino, dove ancora si have da
fabbricare...” (pag. 25)
Via,
via che aumentava il numero delle monache, cresceva il patrimonio e
l'influenza economica e caritatevole del monastero, tanto che nel
1664 Carlo de Mari prendendo possesso della
città, volle, come primo atto, salutare le reverende monache
che erano in numero di 82, su una popolazione di 8.000
anime e 1.527 fuochi (nuclei familiari).
- Il monastero possedeva, solo in agro di Acquaviva, 2 masserie, Spagnolo e La Tilla, 2 cocevole (orti), 17 parchi macchiosi, 3 annicchiariche (stalle), 27 terreni seminatoriali per un'estensione di oltre 140 vignali, 6 chiusure d'alberi d'olive, 33 vigne... 1 cortile e 2 lamie.
- In città possedeva oltre all'immobile del monastero con la chiesa, 2 molini, 1 forno, 7 botteghe, 24 case, 5 sottani e 1 stalla.
- Gli animali erano 3 mule, 2 giumente, 42 vacche, 290 pecore, 162 capre, 16 bovi ... e 20 scrofe. (pag. 52)
Ogni
passaggio di beni era registrato in un atto
notarile
che vidimato dal notaio del momento, di volta in volta, fissava
le quote, i fitti, i pesi e i procedimenti in caso di morosità. Non
mancarono contenziosi e le
badesse
erano vere donne
di affari
che insieme alla preghiera, alla carità,
stipulavano contratti di gestione, prestando anche soldi con
interessi al 9% e al 10%, anticipando le future banche:
- Tuttavia, nonostante tutta questa organizzazione, molti erano coloro che non estinguevano i debiti o non pagavano le pigioni stipulate e spesso si ricorse alle autorità civili.
- Le monache o coriste erano dedite alla preparazione delle celebrazioni eucaristiche, alla vita contemplativa e al coordinamento dei vari laboratori, mentre le converse alle pulizie degli ambienti, alla cucina, alla spesa.
Le
più ricche potevano avere una serva
personale
ed erano queste a tessere le ragnatele dei rapporti fuori/dentro la
clausura, tanto che nella relazione del 1852,
monsignore Giandomenico Falcone dichiarava di aver
estromesso
dal monastero tutte le serve per richiamare al rigore della clausura
le monache stesse, ripristinando le grate e la vita comune.
Il
declino
del monastero iniziò con la politica
del Catasto
voluta dai sovrani
illuminati
nella II metà del 1700 che fece
da detonatore alle rivoluzioni
francese (1789) e partenopea (1799).
- Siamo nel momento del salto storico da sistema agricolo a sistema industriale, il passaggio richiedeva uno stato moderno, liberale ad economia di mercato.
Con
l'applicazione delle tassazioni alle proprietà ecclesiali, iniziò
un periodo
di crisi economica
per il monastero. Negli anni 1763-1765
le badesse si indebitarono tanto da vendere alcune proprietà; è
riportata la cessione di alcuni vigneti al sacerdote
Francesco Posa
nel 1767 che richiedeva un pagamento arretrato.
- un incendio nella notte tra il 9 e il 10 settembre 1812, i moti carbonari del 1821 che aumentarono la pressione fiscale per sostenere il peso della guerra e, infine, anche un terremoto il 6 dicembre 1857.
Il
sistema feudale era sì povero, ma generoso; la
miseria per le popolazioni di fatto si concretizzò solo con il Regno
Italico, quando la rivalità tra I Savoia e il
Vaticano portò alla confisca dei beni ecclesiali,
alla soppressione degli ordini religiosi e alla
chiusura delle abazie con decreto legge del 17 febbraio
1861.
- 350 ducati tradotti in lire erano all'incirca 1.487£ - 4 anni circa di salario di un operaio - se si considera che la quota è da riportare al 1611, allora si può comprendere il valore accumulato per ogni monaca dall'abazia.
La
Chiesa di fatto possedeva nel 1700 solo in Italia circa
i 2/3 della proprietà terriera, era uno uno stato
nello stato, per cui i sovrani e i governi europei poco
tolleravano, in nome del liberismo economico, una
presenza così invasiva del clero. Inoltre tanta
abbondanza di beni mise in moto le ingordigie del ceto
borghese che accarezzava i possibili futuri guadagni in caso
di vendite:
- Da un punto di vista logico lo scontro fu inevitabile e la Breccia di porta Pia del 1870 segnò lo strappo nel dialogo stato-chiesa, ricucito solo nel 1929 con il Concordato.
Dal
1869
al 1910 si aprì un ricco carteggio di istanze
in cui il Comune rivendicò la cessione della proprietà del
monastero, ottenuta solo il 22 dicembre 1910.
Nel
1911 ci fu la cessione della Chiesa di San Benedetto
con i locali di sacrestia annessi, al vescovo di Acquaviva con
l'obbligo di tenere aperta la chiesa al culto:
- L'ultima religiosa si spense nel 1911.
L'immobile
fu diviso in in quattro lotti e venduto all'asta il 20 luglio 1914,
con un ricavo di £ 37.881,82 centesimi (circa 97 anni
di lavoro di un operaio).
Certo
quello che emerge dalla ricchezza dei documenti ritrovati e
riportati nel volume da Don Giuseppe Pietroforte, è la necessità
di una riscrittura della storia
che porga l'altro
punto di vista,
quello dei vinti,
per fare emergere le retoriche di facciata di tanta prosopopea
garibaldina.
Acquaviva delle Fonti, 30 Giugno 2014